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  • Le venti giornate di Torino - Discussione

    GattiNinja BookClub
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    twisterrm@discuti.gatti.ninjaT
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    Finita l’estate partiamo con la discussione de Le venti giornate di Torino di Giovanni De Maria.

    Libro breve, di facile lettura, ma che rimane impresso, sia per (a mio avviso) l’ottima scrittura e ritmo sia per la sua piccola epopea letteraria: la prima edizione del 77 fu praticamente dimenticata ancor prima dell’uscita, per essere poi (ri)scoperta da un tizio australiano che lo tradusse in inglese, il libro ebbe successo ed un editore italiano lo ristampa come un caso letterario italiano all’estero…

    Venendo al libro, beh, qualcuno lo ha accostato alle opere di Lovecraft e troppo lontano non è andato, c’è una sensazione opprimente per tutto il libro, un orrore sempre dietro l’angolo, di quello che ti fa stare inquieto, sempre sul chi vive, i 3 grandi temi che scandiscono il racconto, l’insonnia, la biblioteca, gli omicidi, sembrano molto distanti tra loro a livello “pratico” ma si fondono a livello percettivo.

    La biblioteca di per se, ai fini della storia non ha a mio avviso una funzione rilevante, nel senso che, prendendo solo il discorso omicidi/insonnia il libro andrebbe serenamente avanti da se come “horror/noir soft”, ma l’aggiunta della biblioteca rende tutto più inquietante concorrendo a questa aria di incertezza, di essere osservati, di inquietudine.Parlando della biblioteca molti l’hanno vista come una profezia dei social network, ci può stare ma per me è una cosa più profonda, è riferito al voyeurismo ed esibizionismo, al voler far sapere di noi tutte le nefandezze, liberarci da tutti i nostri orridi segreti senza essere visti, ma soprattutto conoscere quelli degli altri, morbosamente. Va anche però vista come un’allegoria non troppo velata del controllo sui cittadini negli anni di piombo (il libro è pubblicato nel 77 e scritto l’anno prima se non erro), quando dei giovani ben vestiti e gentili, che volevano solo far diventare più amici i pochi torinesi rimasti dopo una siccità che ha rimandato tutti i meridionali alle proprie terre svuotando di fatto la città, fanno quasi più inquietudine degli omicidi.

    Salto alla fine (e sotto spiego perché) dove nell’ultimo delirante capitolo il protagonista (che è bene ricordare essere totalmente senza nome) esortato a lasciare Torino dall’avvocato Segre (figura a mio avviso tutt’altro che positiva o amicale) si trova su di un aereo che invece di lasciarlo a Venezia insieme agli altri passeggeri, lascia tutti in un deserto dove riprende la battaglia di “statue”, i passeggeri con lui sono come sonnambuli, consci e assoggettati al loro inevitabile destino, dormienti nel senso più ampio della parola, o messi a dormire, il protagonista è come se fosse l’unica voce della ragione, del pensiero quantomeno critico, che viene fatto allontanare dalla verità nella quale iniziava ad entrare.Mi fermo qui sia per evitare prolissità, sia perché secondo me questo è un racconto pieno di spunti e “allegorie” della società del tempo e della razza umana e mi piacerebbe che venissero tirate fuori e discusse qui, questo libro seppur piccolo potrebbe tirare fuori una grande discussione



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  • yaku@discuti.gatti.ninjaY
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    Piccola premessa d’obbligo, ho proposto questo libro perché ne avevo sentito parlare molto bene e mi incuriosiva l’aura di mistero e da “libro maledetto” che si porta dietro. Cosa che è piuttosto reale e non una trovata di marketing da quattro soldi che spesso ritroviamo su lavori di questo genere, la lettura del piccolo libricino sulle venti giornate di Giovanni Arduino mette nero su bianco l’epopea di questo lavoro e del suo autore, che ricordo ha concluso la sua vita in preda alla follia e all’abuso di farmaci.

    Ma veniamo al libro, una lettura accattivante e sapientemente cupa, ma che ho trovato di un’eleganza incredibile, nel modo di descrivere la città o i personaggi, nelle frequenti citazioni “di gran classe”, rimandi letterari o musicali. L’autore fa sfoggio della sua cultura e abilità letteraria con grazia, riservatezza e contegno tutto torinese, ma senza supponenza o “classismo”, lo stesso personaggio principale lavora in fabbrica come impiegato (probabilmente alla FIAT). E infatti questo romanzo per quanto mi riguarda poteva essere ambientato solo a Torino, città “magica” per eccellenza e teatro perfetto per un racconto dalle tinte fosche e misteriose. Se poi conoscete bene la città (come me) è un bonus ambientazione mica da poco. Alcune scene me le sono immaginate nella cornice reale in cui l’autore le ha descritte. Da brividi.

    Ammetto che alcune sere sono andato a dormire con una certa inquietudine dovuta alla lettura di questo libro. L’autore è riuscito, senza andare mai nel dettaglio, a dare un velo di angoscia e turbamento costante, ad esempio nel racconto che i due turisti stranieri fanno della serata di uno degli omicidi a Piazza Vittorio, o nel breve dialogo con suor Clotilde, o ancora nell’ascolto dei nastri del professor Giuffrida.

    Per quanto riguarda quelli che molti descrivono come una profetica anticipazione dei social network la questione della biblioteca, io sono d’accordo con @twisterrm , per me è un po’ una forzatura, è evidente che l’autore si riferisce all’animo umano, alla facilità con cui si lascia indurre in comportamenti morbosi e si lascia incuriosire dai segreti altrui, un voyeurismo malsano che spesso sfocia in stalking fino al desiderio di far del male al prossimo. Probabilmente De Maria vedeva questo nella società del suo tempo e ha voluto denunciarlo in qualche modo.

    Devo ammettere che il finale mi ha un po’ sorpreso, non me lo aspettavo e non sono riuscito a interpretarlo molto bene. Una specie di inevitabilità contro forze e poteri incomprensibili e impossibili da sconfiggere, che una volta scoperti hanno portato il personaggio narrante a una fine “già scritta” e predestinata.

    Ho letto in giro che molti lettori hanno scoperto o si sono resi conto quasi subito che gli autori degli omicidi erano le statue, io invece ci sono arrivato alla fine, e meno male perché mi ha reso la lettura più avvincente. Una delle parti che mi ha lasciato più incuriosito e disorientato è stata la serie di lettere che l’investigatore trova per caso, le confessioni di uno strano inquilino in un ancora più strano edificio che mi è sembrato moltissimo una critica alla società capitalista ante litteram, una delle poche cose che ho trovato leggermente fuori contesto, utile però a dare un’aria di insensatezza e follia. Mi fermo qui per non diventare troppo prolisso ma di spunti ce ne sono davvero molti, vediamo cosa esce fuori



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  • pepsy@discuti.gatti.ninjaP
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    Premetto che considero l’etichetta di “libro maledetto” davvero eccessiva, almeno per la definizione che uso io. Posso capire la promozione di un libro uscito da 48 anni e che nessun aveva letto ma anche la pubblicità dovrebbe essere cosciente dei propri limiti. Il libro si legge velocemente, non ha uno stile particolarmente ricercato ed è scritto in modo comprensibile.Passando al contenuto l’ho trovata una storia che mi è sembrata alquanto sconclusionata, ma questo non lo considero un difetto, che non ha suscitato più di tanto il mio interesse. Leggendo poi la biografia dell’autore mi viene da pensare che la storia potrebbe essere stato un modo per esprimere il suo malessere. Visto che sembra fosse una persona originale e forse anche simpatica ha deciso di condividere i suoi incubi piuttosto che tenerseli dentro. Del resto anche nella “misteriosa” biblioteca “non si trovavano i testi pubblicati dagli editori, ma scritti di privati cittadini, che rivelavano i loro pensieri più intimi e profondi, molto spesso terribili, e li mettevano in condivisione con altri cittadini come loro.” (4) La storia del libro mi sembra che sia stata presa proprio da quella Biblioteca.Ho letto qualche commento in Rete e, in molt, hanno evidenziato che l’autore ha descritto (con enorme anticipo sui tempi) una realtà che solo oggi conosciamo. In effetti anche io ho trovato una citazione che ricopio e che sembra la descrizione di un social coso: “Sorvoliamo sulla tendenza diffusa in molti cittadini di affidare i propri umori a certe rubriche giornalistiche, a certe emittenti radiofoniche… Certo è che da quei mezzi di informazione si passò a un limaccioso sottosuolo, un bacino di scarico dove ognuno poteva rovesciare ciò che voleva, tutta la poltiglia che teneva dentro. Ha mai visto nascere qualcosa da un immondezzaio?” (36)Il libro mi ha comunque incuriosito e mi era venuto il dubbio che mi fossi perso qualcosa e per questo mi sono letto subito dopo “Il diavolo è nei dettagli, la storia de Le venti giornate” di G. Arduino, una quarantina di pagine dove credevo di trovare una qualche chiave di lettura del libro di De Maria o qualche dettaglio che mi era sfuggito. Mi sono trovato invece a leggere una storia, per me non molto originale o interessante, sul rapporto tra l’autore e alcune persone che hanno o hanno avuto in qualche modo una relazione col libro. Probabilmente i “dettagli” del titolo erano troppo piccoli per le mie capacità di osservazione e mi sono definitivamente sfuggiti.In conclusione è stata una sofferenza davvero minima, visto il numero di pagine. Non posso dire che il libro mi sia piaciuto ma nemmeno che mi sia dispiaciuto, diciamo che è uno di quei libri che leggo e che poi mi lascia poco dentro.



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  • levysoft@discuti.gatti.ninjaL
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    Il libro mi è piaciuto molto e il finale, così assurdo e disturbante, mi è rimasto impresso al punto che ci ho pensato per giorni. All’inizio, non avendo letto nulla in anticipo e trovandomi davanti a una storia ambientata in una città reale come Torino (che ammetto di non conoscere), ero convinto si trattasse della cronaca di fatti realmente accaduti. Poi, man mano che l’inquietudine cresceva, ho iniziato a sperare che non fosse così, fino a intuire la sua natura fantastica.

    Il colpo di scena arriva con l’undicesimo e ultimo capitolo: lì la tensione esplode in qualcosa che rimane nella mente del lettore. Credo sia proprio questo finale, per quanto surreale, a dare al romanzo un carattere speciale e a spiegare perché Giovanni De Maria venga spesso accostato a Borges, Lovecraft e Kafka.

    Su consiglio del forum ho letto anche Il diavolo è nei dettagli. La storia de Le venti giornate di Torino di Giovanni Arduino. Ammetto che mi è servito poco per comprendere meglio la vicenda, dato che Arduino non conosceva lo scrittore e si limita a un’indagine parallela a quella del protagonista del romanzo. Tuttavia mi ha confermato un’impressione che avevo avuto già leggendo il libro: una sorprendente anticipazione dei social network.

    Arduino cita infatti la descrizione della Biblioteca, che sembra un’anticipazione quasi profetica delle dinamiche di condivisione e voyeurismo tipiche dei social:

    “Chiunque porti manoscritti autobiografici nella Biblioteca può leggere quelli altrui e poi accostarne o spiarne gli autori, in un continuo scambio voyeuristico supervisionato da giovani creatori in odore di neofascismo.”

    Avevo notato anch’io questa analogia e, solo dopo aver letto commenti online, ho scoperto che non ero l’unico a pensarla così.

    In definitiva questo è uno dei pochi libri che non smette di farsi sentire anche dopo l’ultima pagina, che ha continuato a ronzarmi in testa e mi ha perseguitato piacevolmente per giorni… e questo non può che essere un pregio.



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  • rapita@discuti.gatti.ninjaR
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    Ultimamente ho in testa una certa confusione (vabbè, ultimamente più del solito) quindi sarò molto breve. Mi è piaciuto molto questo libro, il modo di scrivere/descrivere gli avvenimenti, pur senza descrivere dettagliatamente le scene è riuscito a far volare la mia fantasia lasciandomi una certa inquietudine, tanto da farmi passare una notte quasi in bianco dopo aver letto alcune pagine prima di addormentarmi (motivo per cui ho finito di leggerlo di giorno!).

    Ha decisamente lasciato un segno visto che, come @levysoft , contnuo a pensarci ancora dopo giorni che ho finito di leggerlo.



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  • ninja.banshee@discuti.gatti.ninjaN
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    Il libro non so dire se mi sia piaciuto. L’ho trovato ben scritto al punto di farsi leggere bene, scorrevole e apprezzabile per uno stile tutto suo, però non riesco ad esprimermi sulla misura caleidoscopica della vicenda: solitamente mi piacciono sempre le storie sconclusionate, le trovo quanto di più vicino alla rappresentazione della vita in sè e danno modo a chi scrive di trovare il suo piglio caratteristico. Di contro sento di aver raccolto poco o niente dopo questa lettura, mi ha intrigato la linea thriller, così come ho apprezzato l’intuizione “primitiva” sulla biblioteca che sono fondative per l’avvento dei social network; però il finale boh: l’infilata onirica rispetto a quando il protagonista se ne andava da una verità che sembrava prendere una strana forma di sensatezza…

    Non saprei che dire, sono sconclusionato pure io nel commentare!

    Sono sconclusionato pure io in questo commento



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