Appartenere

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In tempi incerti e un mondo complicato, una parola ci accompagna più spesso di quanto pensiamo: “appartenenza”. Forse non la diciamo spesso, ma la sentiamo. Tutti, in fondo, abbiamo questo bisogno profondo: appartenere. A una famiglia, a un gruppo, a una comunità, a un luogo dove sentirci riconosciuti, accettate,amati. Quando questo manca, c’è la solitudine, e la solitudine pesa. Ci si può sentire fuori posto perfino in mezzo alla gente. A volte ci si può sentire stranieri nella propria casa, nella propria città, persino nella propria pelle.

Questo bisogno di appartenere non è un capriccio. È qualcosa che ci costituisce. È il segno che siamo stati creati per la relazione. Ma attenzione: l’appartenenza non è mai un privilegio da difendere. È una porta da aprire agli altri, non un muro da alzare.

Nel passo della Lettera agli Efesini che abbiamo appena ascoltato, l’autore scrive a una comunità molto varia. Alcuni venivano dal giudaismo, altri dal mondo greco-romano, con storie, abitudini e religioni diverse, in fondo si trovavano in una situazione simile alla nostra: mondi che si incontrano, culture che si intrecciano, e a volte si scontrano. Ma l’autore con il nostro versetto dice qualcosa di rivoluzionario:

“Così dunque non siete più né stranieri né ospiti; ma siete concittadini dei santi e membri della famiglia di Dio.” Non siete più stranieri. Non siete più ospiti. Siete a casa. Siete famiglia.

E questo vale per tutt*. Non solo per chi era “dentro” fin dall’inizio, ma anche per chi è arrivato dopo. Non ci sono più noi e loro. Non ci sono più barriere etniche, culturali, religiose. C’è un popolo nuovo, unito non dal sangue, ma dall’amore di Dio.

Essere “membri della famiglia di Dio” non è però una condizione da difendere con gelosia. È un dono da condividere. Perché se Dio ci ha accolti quando eravamo stranieri, anche noi siamo chiamati ad accogliere lo straniero. Se Dio ci ha dato un posto nella sua casa, anche noi dobbiamo fare spazio. Lo dice la Scrittura dall’inizio alla fine:

“Lo straniero dimorante fra voi lo tratterete come colui che è nato fra voi; tu l’amerai come te stesso” (Levitico 19,34).

La vera appartenenza, quella che nasce da Dio, non esclude, non separa, non seleziona. Al contrario: unisce, abbatte i muri, crea fraternità.

Oggi, in un mondo in cui si alzano di nuovo barriere e si divide il mondo in buoni e cattivi, in noi e loro, abbiamo bisogno di riscoprire questo messaggio. Perché si può appartenere a una chiesa, a una religione, a un gruppo… eppure continuare a costruire muri. Si può sentirsi “dentro”, ma trattare gli altri come “fuori”. E allora ci chiediamo: che famiglia è quella che non apre la porta ai fratelli?

Forse la fede comincia proprio da qui: non da un insieme di regole, non da un’identità da difendere, ma da una voce che dice: “Tu appartieni. E con te appartiene anche il tuo prossimo.”

Nella casa di Dio c’è posto per tutti. E chi ha conosciuto questa accoglienza… non può più vivere da buttafuori che decide chi entra e chi no, ma solo da fratello.


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