Fame
Avere o essere
Predicazione su Giovanni 6,30-35
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Chi di noi non ha mai provato fame? Non parlo solo di quella fisica — dello stomaco che brontola. Parlo di una fame più profonda: quella di sentirsi al sicuro, di avere un senso, di sapere che la nostra vita vale. Una fame di amore, di pace, di giustizia, di relazione vera.
Viviamo in un mondo in cui ci viene detto, fin da piccoli, che questa fame si placa possedendo: cose, titoli, sicurezze, garanzie. Ma poi, anche quando abbiamo tanto… ci accorgiamo che qualcosa manca ancora.
Il brano che abbiamo letto oggi ci parla proprio di questo:
Parla di una folla. Gente che ha camminato, alla ricerca, che ha fame. Ma non solo fame di cibo: fame di senso, di speranza, di sicurezza. Quella folla ha appena visto Gesù fare un miracolo straordinario: ha moltiplicato il pane e ha sfamato cinquemila persone. E allora lo cercano di nuovo. Ma perché? Gesù lo dice chiaramente qualche versetto prima:
«Mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato del pane e siete stati saziati» (Gv 6,26).
La gente vuole ancora quel pane. Vuole sicurezza, vuole che il miracolo si ripeta. E allora fa una domanda:
«Quale segno fai, dunque, affinché ti crediamo? I nostri padri mangiarono la manna nel deserto…»
Questa richiesta è interessante. La folla paragona Gesù a Mosè. Gli dice: “Va bene, ci hai dato pane una volta. Ma Mosè ha dato la manna ogni giorno per quarant’anni. Tu che fai di più?”
Ma Gesù li corregge. Dice che non è stato Mosè a dare il pane dal cielo, ma Dio stesso. E aggiunge una cosa fondamentale:
«Il Padre mio vi dà il vero pane che viene dal cielo… Io sono il pane della vita».
1. Che pane cerchiamo?
Questa è la prima domanda che il testo ci pone: che pane cerchiamo?
Viviamo in un mondo dove siamo spinti continuamente ad avere: avere più cose, più soldi, più comfort, più tempo, più successo. Abbiamo perfino fatto del pane – cioè del necessario – un oggetto di ansia. Abbiamo paura di non avere abbastanza. Così accumuliamo, risparmiamo, ci proteggiamo. E pensiamo: “Quando avrò tutto il necessario, allora sarò tranquillo. Allora sarò felice”.
Ma Gesù ci invita a un’altra logica: quella dell’essere. Non del possesso, ma della relazione. Non del controllo, ma della fiducia.
Erich Fromm, un sociologo e psicoanalista del secolo scorso, lo spiegava con un’immagine semplice: un bicchiere blu è blu perché lascia passare il blu, non perché lo trattiene. Così anche noi siamo davvero noi stessi non per ciò che tratteniamo, ma per ciò che doniamo, che siamo, che condividiamo.
2. Avere o essere?
Fromm parla di due modi di vivere: la modalità dell’avere e quella dell’essere. La modalità dell’avere è quella del possesso: “Questa casa è mia. Questo tempo è mio. Questi soldi sono miei. E li difendo”. Ma in realtà, come dice Fromm, quello che possediamo spesso finisce per possedere noi. Viviamo nella paura di perdere ciò che abbiamo.
La modalità dell’essere, invece, è un altro stile di vita. È fatto di fiducia, di apertura, di relazione. È vivere sapendo che la vita è un dono da ricevere e da donare, non qualcosa da controllare.
Quando la folla chiede a Gesù:
«Dacci sempre di questo pane»,
non ha ancora capito bene. Pensa a un pane che si può avere, conservare, magari mettere da parte. Ma Gesù risponde con un invito radicale:
«Io sono il pane della vita. Chi viene a me non avrà più fame, chi crede in me non avrà più sete».
Non è un pane da possedere, è un pane da vivere. È una relazione. È fede. È fiducia. È essere in Cristo.
3. Un Dio che si dona
Gesù non ci offre una cosa, ci offre sé stesso. Dice: “Io sono il pane”. Si fa cibo, si fa nutrimento, si fa dono.
Come la manna nel deserto, che non poteva essere conservata per il giorno dopo, anche la fede è un pane che si riceve ogni giorno, nella fiducia. Non si mette da parte, non si gestisce. Si vive.
Il vero miracolo non è la moltiplicazione dei pani. Il vero miracolo è che Dio si dona. Si dona ogni giorno. A chi lo cerca. A chi si fida. A chi, anche nella sua fame, non cerca più cose… ma cerca Dio stesso.
4. E noi, cosa scegliamo?
Il mondo oggi ci insegna a vivere nella logica del “sempre di più”: più risorse, più denaro, più sicurezza, più controllo. Ma tutto questo non sazia davvero la fame profonda del cuore, anzi, la logica del “sempre di più” alla fine ci distrugge, distrugge il Creato e distrugge le relazioni. Non dona vita, senso, amore. La vita, il senso, l’amore non crescono sull’arido suolo dell’avere, del possedere.
Gesù ci dice: “Fermati. Vieni a me. Fidati. Io sono il pane della vita”. Non è una promessa di comodità. È una promessa di vita piena, di libertà dal bisogno di avere, per imparare a essere.
Concludo
La ricerca di un pane terreno che sazi a lungo può essere interpretata, secondo Erich Fromm, come un modo di esistere basato sull'avere: le persone sperano di diventare felici quando non devono più preoccuparsi del cibo quotidiano. Il racconto della manna contiene già una chiara critica di questo desiderio di possesso: Mosè ordina alle persone nel deserto di raccogliere solo la quantità di pane necessaria alla famiglia per un giorno (Esodo 16,16) – chi pensa di dover fare scorte, la mattina dopo si ritrova davanti a un mucchio puzzolente pieno di vermi (Esodo 16,20). Già nel racconto della manna, quindi, il modo di esistere dell'avere si contrappone al modo di esistere dell'essere, caratterizzato dal fatto che le persone si accontentano di ciò di cui hanno bisogno per un giorno e, per quanto riguarda il futuro, si affidano a Dio.
Domande finali:
Di quanta sicurezza materiale abbiamo bisogno in un mondo attualmente molto incerto? Cosa è sufficiente per vivere e cosa serve per una vita “buona” o “riuscita”? Dove cerchiamo oggi di soddisfare la nostra profonda fame di vita con il pane materiale (e altri beni materiali) che non possono placare questa fame? Chi o cosa può diventare oggi per noi il vero pane della vita? Quanta fede o fiducia in Dio è necessaria per questo?