Prima del Big Bang

Quando mi trovo a fare, ogni tanto, serate di divulgazione scientifica, una delle domande più gettonate è sempre: cosa c’era prima del Big Bang?

Il Big Bang, traducibile in italiano come Grande Botto, è un termine che spesso usiamo per riferirci alla “nascita” del nostro Universo. Tecnicamente, il termine più corretto da usare sarebbe Teoria del Big Bang. Questo perché, sempre tecnicamente, l’universo non è iniziato né con un botto né tantomeno con un’esplosione. Tuttavia in passato (ma ancora oggi a volte) sia i libri scolastici sia grandi personaggi della comunicazione scientifica hanno perseverato più volte con il concetto di “esplosione” per descrivere come è iniziato l’universo.

Parliamo un attimo della teoria del Big Bang


Mettiamo in ordine alcuni fatti, allora. Oggi sappiamo che sicuramente l’Universo ha avuto un inizio, precisamente 13,79 miliardi di anni fa. Lo sappiamo grazie ai dati della radiazione cosmica di fondo raccolti dal satellite ESA Planck del 2018. Non starò oggi a parlare della radiazione cosmica di fondo, ma vi basta sapere che si tratta dell’evidenza scientifica numero uno della Teoria del Big Bang, di cui parlerò brevemente tra pochissimo.

Infatti, negli anni Venti del secolo scorso non si conoscevano molte cose sull’universo. Non si sapeva neanche se quella che oggi sappiamo essere la Galassia di Andromeda fosse davvero un’altra galassia oppure no. Però in quel periodo avvennero due cose fondamentali: da una parte Albert Einstein aveva messo a punto la teoria della Relatività, teoria che si poteva applicare a tutto l’universo in quanto capace di descrivere come funziona la gravità su distanze molto grandi; dall’altra parte, grazie allo sviluppo tecnologico, si è avuta la possibilità di avere strumenti molto precisi per misurare le distanze delle galassie (che, all’epoca, ancora non sapevamo fossero tali).

Alla fine, nel 1924, l’astronomo americano Edwin Hubble dimostrò che Andromeda era un’altra galassia e quindi l’Universo era fatto di tante galassie come la nostra; poi nel 1929, Hubble dimostrò che le galassie si allontanano da noi. Quest’ultimo fatto, apparentemente inspiegabile, trovava un quadro teorico proprio nella teoria di Einstein: le galassie si allontanano non perché si muovono loro, bensì perché è lo spazio in mezzo a espandersi.

Pazzesco. Eppure una teoria che sembra così assurda spiega perfettamente i dati di Hubble. Altre teorie non sono capaci di farlo.

Non solo: Georges Lemaitre, un prete belga con un PhD in astrofisica, formulò in quegli anni una teoria ulteriore: se l’Universo oggi si espande e le galassie si allontanano, allora vuol dire che in passato le galassie dovevano essere molto più vicine, quindi l’Universo doveva essere molto più denso di oggi…

Questa idea non fu accettata dalla comunità scientifica dell’epoca. Lo scienziato inglese Fred Hoyle per esempio non poteva accettare l’idea che in passato l’universo fosse una specie di “uovo primordiale” ultra-denso (come diceva Lemaitre) e quindi ipotizzò un’altra teoria: secondo Hoyle l’Universo non era più denso in passato e meno denso oggi, ma è sempre stato così come lo vediamo, con la stessa densità. Per bilanciare il calo di densità di galassie a causa dell’espansione, secondo Hoyle ogni tanto nell’Universo si forma (dal nulla!) un po’ di materia. Secondo questa teoria, l’Universo vive in un perenne Stato Stazionario.

Pazzesca teoria anche questa, vero? Eppure andò per la maggiore.

Da dove nasce il nome “Big Bang”?


Addirittura, pensate, Hoyle il 28 marzo 1948 alle 18:30 ora di Londra rilasciò un’intervista alla BBC Radio dove stigmatizzò fortemente la teoria di Lemaitre e inventò, per l’occasione, anche un nomignolo per la teoria del prete belga. Disse Hoyle: “earlier theories… were based on the hypothesis that all the matter in the universe was created in one big bang at a particular time in the remote past.” che tradotto suona così “le precedenti teorie [Hoyle già dava per scontata che la sua teoria fosse giusta – nda] erano basate sull’ipotesi che la materia nell’Universo fosse creata in un grande botto in un particolare istante del remoto passato”.

Ecco! Il nome teoria del Big Bang quindi non viene dalle persone che hanno lavorato su questa teoria, ma proviene dal suo principale detrattore.

Alla fine però risultò che Hoyle aveva torto: nel suo Universo stazionario non c’è spazio per una radiazione cosmica di fondo (di cui vi parlerò un’altra volta), la quale invece era perfettamente prevista nella teoria, cosiddetta, del Big Bang. Quando nel 1964 la radiazione cosmica di fondo fu osservata arrivò il momento in cui la comunità scientifica finalmente accettò la teoria di Georges Lemaitre come la teoria più accredidata a spiegare l’origine dell’Universo.

Che cosa c’era prima del Big Bang?


Quindi eccoci qua: al momento riteniamo che l’Universo non sia stato sempre così come lo vediamo, bensì abbia avuto un’origine nel passato e fosse più denso allora rispetto a oggi (a causa dell’espansione). Non sappiamo esattamente come sia nato l’Universo e non sappiamo neanche se l’Universo è finito o infinito in realtà. Sappiamo solo che l’Universo ha avuto un inizio e che in passato la densità era altissima e quindi, di conseguenza, anche le temperature erano elevatissime. Per semplicità, oggi, chiamiamo questa teoria come il modello Big Bang, ma dobbiamo essere consapevolə che non si tratta di un’esplosione e soprattutto che siamo ancora molto ignoranti su un sacco di cose.

Ma se la teoria del Big Bang comunque ci dice che l’Universo ha avuto un inizio nel tempo, viene spontaneo chiedersi: che cosa c’era prima? Comunque, la risposta più bella che si può dare a questa domanda è, per una volta, un’altra domanda: se il tempo inizia con il cosiddetto Big Bang, ha senso parlare di un prima?

Beh, innanzitutto, bisogna accettare un fatto: anche se ci fosse stato qualcosa prima, non avrebbe potuto in alcun modo influenzare il dopo, perché il tempo per come lo conosciamo ha avuto inizio proprio con l’inizio a cui conduce la teoria del Big Bang. Ora, di sicuro qui abbiamo a che fare con qualcosa che scava in profondità della nostra esperienza umana. Noi viviamo nel tempo e ci sembra impossibile pensare a un tempo senza tempo. D’altra parte, anche solo immaginare che tutto ciò che ci circonda non sia esistito per sempre, ecco, aggiunge un tocco di inquietudine e provvisorietà alla nostra già fragile esperienza umana.

Pensiamo mai al prima?


C’è da dire, però, che è davvero notevole che la mente umana sia stata in grado di concepire una teoria che fissa l’inizio del tempo. Come molti aspetti scientifici, alla fine sono le cose che osserviamo nell’Universo a metterci dei paletti; al momento, per quanto incredibile possa essere, ciò che vediamo nell’Universo ci dice che il tempo ha avuto un inizio. Per quanto pazzesco possa essere, c’è stato un istante della storia dell’Universo che probabilmente non ha avuto un istante precedente.

Ma è davvero pazzesco per l’esperienza umana? Forse ciò che dice la teoria del Big Bang è molto più vicino a ciò che viviamo ogni giorno di quanto pensiamo. Prendiamo, per esempio, questa citazione dal libro L’amica geniale di Elena Ferrante, Lenù riporta un pensiero molto profondo elaborato dalla sua amica Lila:

“Ritornò così il tema del “prima”, ma in modo diverso che alle elementari. Disse che non ne sapevamo niente, né da piccole né adesso, che perciò non eravamo nella condizione di capire niente, che ogni cosa del rione, ogni pietra o pezzo di legno, qualsiasi cosa, c’era già prima di noi, ma noi eravamo cresciute senza rendercene conto, senza mai nemmeno pensarci. Non solo noi. Suo padre faceva finta che non c’era mai stato niente prima. Lo stesso faceva sua madre, mia madre, mio padre, anche Rino. Eppure la salumeria di Stefano prima era la falegnameria di Peluso, il padre di Pasquale. Eppure i soldi di don Achille erano stati fatti prima. E così anche i soldi di Solara. Lei aveva fatto la prova con suo padre e sua madre. Non sapevano niente, non volevano parlare di niente. Niente fascismo, niente re. Niente soprusi, niente angherie, niente sfruttamento.”


Al contrario del sentimento popolare nei confronti del Big Bang, dove il prima è quasi un’ossessione, un mistero da risolvere, quasi fossimo tuttə assetatə di conoscenza, in questo frammento del libro di Ferrante il prima, invece perfettamente alla portata di chiunque, subisce un forte rimosso che indurisce lo stato, direi fortemente stazionario, delle cose. Quasi una rivincita per la teoria di Hoyle.

Il Big Bang a scuola


La negazione del prima non è solo un problema di Lila. È anche un problema di noi insegnanti. Quando entriamo in classe a settembre possono accadere due situazioni: 1) è la prima volta che vediamo quella classe; 2) abbiamo visto l’ultima volta quella classe all’inizio di giugno. Partiamo dal caso 1), quello che conosco meglio in quanto precario alla secondaria di secondo grado. In questo caso io imparo a conoscere delle nuove persone, di cui non so nulla veramente della loro vita scolastica e neanche del loro essere umani ogni giorno. Questo prima non è mai davvero oggetto di riflessione didattica. Chi entra in classe, davanti allə prof, deve essere solo pronto per il dopo: non è contemplato avere avuto una vita fino a quel momento.

In sostanza, ogni giorno di scuola è un Big Bang: ogni giorno si creano nuove condizioni di partenza per affrontare l’evoluzione dei giorni successivi. È quello che è successo prima? Come nella teoria del Big Bang, il prima non può più influenzare il dopo. Frasi come “Prof, ma io ho studiato…e tanto!” non hanno alcun potere di influenza se alla verifica hai preso 4. Perché quel votaccio è il nuovo Big Bang. E così noi prof ci dimentichiamo anche che, anche con le migliori intenzioni, ogni mattina, quando entriamo in classe, non sappiamo nulla di ciò che è successo il pomeriggio precedente alle persone che abbiamo davanti e che ogni giorno crescono e scoprono il mondo: tutto il focus è sulla “lezione”. Per la scuola del Big Bang tutto questo non importa: ogni mattina riparte il tempo della lezione, non importa più il prima. Anche nel caso 2) il prima viene trascurato. In questo caso si trascura tutta l’estate, tutte l’incredibile varietà di emozioni, sensazioni, nel bene e nel male, che possono aver sperimentato durante la stagione senza scuola. A settembre si riparte: Big Bang!

Eppure i rapporti, le relazioni, i corpi, tutto ciò ha un prima che non può essere trascurato quando si entra in aula. Georges Lemaitre sarebbe fiero di noi che ogni giorno, pur senza magari avere troppe conoscenze di astrofisica, mettiamo in pratica ciò che dice la teoria del Big Bang: c’è un sempre un nuovo inizio e quell’istante non conosce un istante precedente.

Naturalmente qui non sto facendo un discorso contro chi insegna. È chiaro che noi prof ce la mettiamo veramente tutta per andare contro il Big Bang scolastico. Ma la scuola sembra essere stata plasmata proprio per creare dei continui Big Bang: a volte è solo l’estate, si cresce, si cambia; a volte sono lə docenti che cambiano, perché precariə; a volte cambia la scuola, a volte il grado, a volte lə compagnə di classe. Tutti eventi che invece di essere visti come un flusso temporale di eventi connessi, la scuola e la società ci abituano a vedere sempre e solo come “nuovi inizi”, come tanti piccoli Big Bang, appunto.

Un triste esempio: il genocidio palestinese


Perché il prima ha sempre un suo importante peso specifico. Non solo nel nostro piccolo della scuola, ma anche in un contesto più ampio, nel contesto della Storia. L’umanità deve sempre fare i conti con il prima, anche quando decide, coscientemente, di rimuoverlo. Un caso eclatante e recente di questa rimozione collettiva è avvenuto con la questione palestinese, dove una narrazione capziosa e prettamente coloniale, ha deciso di fissare l’inizio di tutti i guai al 7 ottobre 2023.

Ovviamente sappiamo tuttə benissimo che esiste un prima fondamentale nella questione palestinese, un contesto temporale fondamentale per comprendere che in questa storia c’è sempre stato un solo popolo oppresso, quello palestinese; un prima che viene rimosso proprio come, per certi versi, fanno gli abitanti del rione ne L’amica geniale; un prima che, invece, Lila cerca di far emergere perché ritiene necessario per innescare un cambiamento dello stato delle cose. Invece, nel caso della questione palestinese, la narrazione coloniale ha deciso di usare un surrogato della teoria del Big Bang e far nascere tutti i problemi il 7 ottobre 2023, dimenticando ciò che è stato prima e molto prima, dimenticando l’occupazione illegale israeliana e il regime di apartheid a cui è sottoposto il popolo palestinese da decenni.

E la scelta di usare un Big Bang, dimenticando il prima, di volta in volta nel corso degli anni, ci ha reso e ci rende sempre più complici di quello che è un vero e proprio genocidio in atto in diretta sui nostri smartphone.

Avere tempo per un nuovo tempo


La teoria del Big Bang è una teoria che prova a descrivere come funziona ed evolve tutto l’universo. Questa teoria, almeno per come è fatta ora, ci impone di farci domande sul concetto di tempo. Molto più precisamente, l’esistenza di un istante iniziale sembra a noi inconcepibile: l’idea di un Universo che non sia sempre esistito ci mette a profondo disagio. Eppure, incredibilmente, quando parliamo di fatti più umani non esitiamo a dimenticarci di ciò che accaduto prima. Decidiamo, proprio come fa l’Universo a nostra insaputa, di fissare arbitrari punti di partenza come ci fa più comodo, nelle relazioni, a scuola, persino nella Storia, sensibile più di ogni altro contesto alla scelta di inizi arbitrari.

Nei fatti, ciò che fa la teoria del Big Bang è farci riflettere sul concetto stesso di tempo nella sua versione antropocentrica. L’esperienza umana, a qualsiasi livello, è costellata di prima e dopo, causa ed effetto senza soluzione di continuità e in modo estramemente complesso.

In questo senso, assurdo che – per quanto ne sappiamo oggi – l’Universo stesso abbia un arbitrario istante iniziale ci spiazza e ci ricorda che, per quanto tendiamo in tutti i modi di curvare il flusso temporale dei fatti sul nostro pianeta, in realtà siamo solo figliə impotenti del tempo che scorre. Non solo dobbiamo riflettere sul concetto di tempo e tener conto del prima, ma forse dovremmo anche iniziare finalmente a immaginare come coltivare rapporti, tra persone e tra popoli, dove non esiste la necessità di fissare un punto di inizio che azzera il prima, ma che siano capaci di inserirsi in un flusso temporale in cui il passato agisce in ogni istante.

Anche in questo dovremmo imparare dall’Universo: perché nonostante esso contenga un istante iniziale insormontabile, tuttavia tutto ciò che vediamo oggi manifesta un profondo legame evolutivo con il suo passato. Tutto il contrario di ciò che facciamo noi, purtroppo continuamente proiettati a decostruire il passato al fine di dimenticarlo, nelle relazioni, a scuola, nella Storia.


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