Alcune associazioni (Antigone, Defence for Children Italia, Libera e Gruppo Abele) hanno inviato una submission ufficiale al Comitato che monitora l’attuazione della Convenzione Onu sui diritti dell’Infanzia per denunciare la regressione della giustizia minorile in Italia.

Paolo Tartaglione, referente Area penale minorile del Coordinamento nazionale comunità accoglienti – Cnca e presidente della cooperativa sociale Arimo, intervistato da Vita.it, condivide alcune riflessioni:

Gli addetti ai lavori raccontano di un cambiamento nel profilo dei minori stranieri non accompagnati, di cui all’esterno non avevamo ancora percezione. Riguarda il loro progetto migratorio.

I ragazzi che arrivavano nei primi anni Duemila effettivamente avevano particolari capacità e competenze e venivano in Italia con un progetto migratorio molto preciso, con il mandato delle famiglie: semplificando possiamo dire che arrivavano con il mandato di “avere successo”. E moltissimi di quei ragazzi effettivamente ce l’hanno fatta.

I ragazzi che arrivano oggi invece sono prevalentemente – non sempre – ragazzi con poche risorse, che sono stati in un certo senso allontanati dal nucleo familiare e dalla loro comunità di appartenenza. Che già in patria avevano problemi con la scuola o con le istituzioni: non con la giustizia, però spesso c’è un tema di condotta e di comportamenti scorretti. Talvolta riscontriamo temi di salute mentale.

L’essere “mandati avanti”, con grandi aspettative salvifiche, è qualcosa che non vediamo più da un pezzo: non sto dicendo che le famiglie li mandano qui perché costituiscono una fatica eccessiva e sono certo che tutto ciò avvenga con dolore… ma quello dell’essere “mandati avanti” è più il racconto che i ragazzi fanno a se stessi che non la realtà. Quando arrivano in comunità e capiscono di essere in un luogo sicuro, di avere accanto delle persone che possono aiutarli a contenere il dolore, ecco che cominciano a mettere in ordine gli elementi e a dirsi che le cose sono andate un po’ diversamente.

La giustizia minorile nel 1988 aveva avuto un’intuizione giusta, con una legge che vede il reato come il modo dell’adolescente per manifestare una richiesta d’aiuto: questo continua ad essere vero.

Negli ultimi anni è cambiato l’approccio culturale di chi risponde al reato dei minorenni. Oggi ho l’impressione che le istituzioni siano disorientate, in maniera trasversale, nel senso che non mi sarei aspettato approcci molto differenti dalle forze politiche che oggi non sono al governo. Si cerca di dare una risposta a ciò che accade, ma poiché si legge male il fenomeno si risponde in maniera errata e controproducente. Il ministro Salvini già a settembre 2023 diceva che un quattordicenne che sbaglia deve pagare come paga un uomo di cinquant’anni. È un’idea che è stata abbondantemente smentita dalla storia, ma questo dice quanto si stia rischiando di perdere quella specificità dell’intervento penale minorile che finora ha guidato l’Italia sino a farci diventare un “faro” per gli altri Paesi.

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