Qualche tempo fa leggevo un libro di cui non mi ricordo più l'autorə, ma il titolo era qualcosa del tipo "embodied cognition".
La tesi di questa corrente di pensiero è che, finché non ne capiremo di più del cervello, inteso come organo complesso e "bagnato", non riusciremo mai a capire davvero in che cosa consistano i processi cognitivi e quindi, per estensione, i processi cognitivi artificiali.
Nel libro c'era un'analogia molto affascinante. Nella scolastica medievale pare ci si azzuffasse sul problema della digestione umana. Il problema era questo: se il nostro corpo è intriso di peccato originale, quando mangiamo, ad esempio, carne di mucca e ingrassiamo, questa carne va a diluire il nostro peccato originale? Questo non sarebbe possibile, a causa dell'assioma (o dogma) della conservazione del peccato originale. L'unica conclusione logica poteva quindi solo essere quella per cui la carne di mucca non veniva trasferita nel nostro corpo direttamente (qualunque cosa questo volesse dire), ma dava l'energia al nostro corpo per crescere.
Sentita ora nel 2025 questa storia appare grottesca: come si può immaginare di capire la digestione senza aprir stomaci, studiarne i succhi, etc. etc.?
Eppure, abbiamo esattamente la stessa attitudine con la comprensione dei processi cognitivi. Pensiamo che siano riconducibili a pura logica. Forse perché pensare alla mente sembra più "astratto" che pensare allo stomaco e agli intestini?
Ma alla fine: che differenza c'è tra cervello e pancia?