Da Left.
Leggere, come scrivere, è un atto di libertà, un gesto eretico e liberatore che unisce scienza, arte e coscienza
“Perché leggere ancora?”. Con questo interrogativo si apre l’ultimo libro di Enrico Terrinoni, Leggere libri non serve. Sette brevi lezioni di letteratura, edito da Bompiani, che si presenta come una sorta di breviario laico focalizzato su sette grandi nomi di scrittori e scrittrici della letteratura mondiale, che per esplicita ammissione dell’autore richiama le Sette brevi lezioni di fisica di Carlo Rovelli, pubblicate da Adelphi.
«Noi leggiamo libri per non servire, e non servire significa capire altro per capire gli altri». Dunque, emerge con forza quel concetto di alterità, che nel caso della lettura per Enrico Terrinoni andrebbe chiamata “altritudine”, declinata alla Bergonzoni maniera: leggere come un “salto in altro”.
Le sette lezioni contenute nel libro sono dedicate a sette concetti chiave, impersonati da altrettanti autori e autrici: la profezia (Oscar Wilde), il sogno (William Blake), l’infinito (James Joyce), l’eresia (Giordano Bruno), la coscienza (Italo Svevo), l’onda (Virginia Woolf) e infine in silenzio (William Shakespeare).
Le sette lezioni contenute nel libro sono infatti dedicate a sette concetti chiave, impersonate da altrettanti autori e autrici: la profezia (Oscar Wilde), il sogno (William Blake), l’infinito (James Joyce), l’eresia (Giordano Bruno), la coscienza (Italo Svevo), l’onda (Virginia Woolf) e infine il silenzio (William Shakespeare).
La lezione numero 6 riservata a Virginia Woolf e all’onda si apre con una bella citazione del grande poeta irlandese e premio Nobel William Butler Yeats: «Quando suono il mio violino a Dooney/la gente danza come un’onda del mare». Una citazione che rimanda letteralmente a The Waves della Woolf. Le sue sono onde interiori, onde della coscienza il cui flusso irrefrenabile rifiuta ogni forma di adattamento alla realtà esteriore creandone una nuova, che assume la forma di un oceano-mare sconfinato, di un flusso mentale che rompe gli argini, il cui continuo fluire frammenta l’unità del romanzo classico e trasforma la natura della narrazione e della scrittura, che si fa ondulatoria e sfuggente: è ciò che Terrinoni individua come principio di indeterminazione del letterario, che rimanda metaforicamente al principio della fisica quantistica e che suggerisce una teoria dell’interpretazione testuale aperta e relazionale, quindi complessa.
Terrinoni nel parlare della Woolf utilizza la definizione di “eretica” coniata da Nadia Fusini, cioè di chi non accetta principi dottrinali e linee direttive. E la letteratura non può accettarne perché per sua natura è ribelle.
Come spesso accade nei suoi lavori, Terrinoni rinuncia alla linearità in favore della circolarità, grazie a cui ogni capitolo dialoga con gli altri in una rete di rimandi e connessioni. Ad esempio, la lezione sulla profezia di Oscar Wilde è affratellata a quella del sogno di Blake, perché il sogno è profetico, e tutto ciò che esiste è stato prima sognato, immaginato, scriveva Blake; mentre quella sulla coscienza di Italo Svevo si lega naturalmente all’infinito di James Joyce, perché la coscienza è uno spazio oscuro, è uno stato di caos «che può soltanto accrescersi, infiniplicando». A sua volta la lezione sull’eresia di Bruno dialoga con il silenzio di William Shakespeare.
Per Bruno, l’eresia è l’atto di rompere il silenzio imposto dai dogmi per parlare dell’infinito e della molteplicità. Tuttavia, anche la sua verità più grande, l’universo sconfinato, è così vasta da superare il linguaggio. Il suo silenzio è la profondità del mistero, che la parola tenta di abitare. La letteratura, in questo senso, è una sorta di eco dell’ombra: dà forma e voce alla condizione umana, ma sa che il suo culmine è il ritorno al silenzio, alla meditazione, alla coscienza critica.
È un processo circolare: l’ombra genera la parola disubbidiente, che si esaurisce nel silenzio, per poi rinascere come libertà di interpretazione nella mente del lettore. Sorprendenti e imprevedibili sono dunque le traiettorie che l’autore tesse nel suo libro.
Il volume stesso diventa un modello di lettura aperto e non servile, che rifiuta la compartimentazione per esaltare il flusso continuo del pensiero e della creazione letteraria, un incessante viaggiare da un testo all’altro, da un’idea all’altra. In definitiva, Leggere libri non serve si rivela un vademecum per lettori selvaggi e ribelli. Il messaggio è chiaro: leggere è un atto di resistenza che rende l’individuo un combattente per la libertà.
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