🧭 Quando spiritualità, politica e tradizioni si intrecciano, nascono spazi inaspettati, capaci di superare ogni binarismo.
Slavs and Tatars, collettivo di arte e ricerca, ci ricorda che le identità non sono mai chiuse: sono fatte di passaggi, contaminazioni, transiti fra mondi come i simboli e i rituali che attraversano l’Eurasia.
Nel dialogo con Kathleen Reinhardt e Leah Feldman, il loro lavoro appare come un continuo attraversamento: dalle pratiche spirituali e conviviali (come il samovar o la condivisione del tè) a quelle linguistiche e politiche, sempre alla ricerca di ciò che sfugge alle categorie imposte.
La loro idea di postcoloniale non si rifugia nell’identità da difendere, ma apre possibilità: celebra le mescolanze, crea collettività mai precostituite, né dettate dall’alto.
Penso a certe risonanze con il lavoro di Mona Hatoum: anche lei capace di trasformare simboli domestici e geografici in strumenti di disorientamento critico.
Simboli come il Simurgh, il cetriolo sotto sale o la lingua stessa diventano strumenti per costruire mondi condivisi, lontani da logiche etno-nazionali e imperiali, offrendo “ospitalità” a chi spesso, nei musei o nei discorsi ufficiali, non trova spazio per riconoscersi.
Anche qui nel Poliverso e su Friendica possiamo fare delle nostre interazioni un laboratorio di attraversamento, ascolto e ridefinizione reciproca.
Quali confini sentiamo il bisogno di attraversare?
Come si intrecciano, nelle nostre storie, le radici spirituali e politiche che portiamo dentro?
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