Dall'articolo Il Codice della Catena: statuti e potere cittadino nel Trecento a Torino.

In questi giorni è in mostra a Palazzo Madama il Codice della Catena, ad aprire la mostra “Van Eyck e le miniature rivelate”.

È esposto come uno dei tesori più suggestivi, simbolo di un patrimonio normativo e artistico unico.

Il suo nome deriva da un episodio del 1492, quando il codice venne dotato di due robuste catene di ferro applicate alle copertine per essere esposto liberamente al pubblico nel vestibolo del Municipio.

Noto anche come Libro degli Statuti della città di Torino, risale al 1360.

Il testo copriva tutto l’arco della quotidianità cittadina: norme sul mercato, l’uso delle vie, divieti, sanzioni, oltre a disposizioni sull’organizzazione del Consiglio comunale, chiamato allora Consiglio di Credenza, formato da sessanta membri non eletti ma nominati dai predecessori.

La miniatura con il toro segna la prima rappresentazione figurata del simbolo cittadino. Vi compare un toro rosso in campo bianco, in posizione passante, non ancora rampante o furioso, che costituì il primo stemma urbano torinese. Nei secoli seguenti, la figura evolse fino a diventare il toro “furioso” dorato su campo azzurro che conosciamo oggi: una trasformazione documentata a partire dal XV secolo, con l’adozione delle corna bianche (forse per simboleggiare i fiumi Po e Dora), fino all’assetto stabilizzato nel Cinquecento-Seicento e ufficializzato con la corona comitale nel 1619.

Le pagine ingiallite testimoniano l’usura dell’uso continuo. Era una sorta di “bussola normativa” della vita urbana, prima dell’avvento dell’istruzione diffusa e dell’accesso immediato alle fonti del diritto.

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