DE CATECHIZANDIS RUDIBUS - 3
II – Osservazioni preliminari
3. Non vorrei però, tornando al tuo problema personale, che tu ti trovassi in difficoltà per il fatto che il tuo discorso ti appare banale e pesante. Può darsi invece che non appaia tale al suo destinatario; ma siccome non sei soddisfatto di te, pensi che anche gli altri siano insoddisfatti.
Anche a me il mio parlare non piace quasi mai. Vorrei tanto esprimermi meglio, come sento interiormente le cose prima di rivestirle con le parole; e se non riesco ad esprimermi a livello di quel che sento, mi rattristo, perché la parola non corrisponde all’intenzione.
Vorrei che chi mi ascolta capisse tutto quel che capisco io, e mi accorgo di non ottenerlo col mio discorso, specie perché l’intuizione è un lampo passeggero, mentre il parlare è lento e prolisso; e mentre il discorso si snoda, l’intuizione si dissolve.
Tuttavia, mentre moduliamo le sillabe, permangono misteriosamente nella memoria labili impronte da cui ci moviamo per formulare i segni fonetici, pronunciandoli o no, nelle varie lingue: il latino, il greco, l’ebraico... Di per sé, l’impronta della memoria non è né latina, né greca, né ebraica, ma è un prodotto dello spirito, come il corpo si esprime attraverso il viso.
Per fare un esempio, l’ira si esprime in latino con un vocabolo, in greco con un altro, e con altri termini ancora in altre lingue, dato che l’adirarsi non è esclusivo né dei greci né dei latini. Però quando si dice «iratus sum», capiscono solo i latini; mentre se l’ira si dipinge sul volto, tutti si accorgono che uno è adirato.
Resta il fatto che le nostre parole non sono in grado di esprimere e rendere quasi palpabile ciò che la memoria conserva della intuizione originale, come invece il volto esprime i nostri sentimenti: dato che l’intuizione è dentro, nella profondità dello spirito, mentre il volto è fuori, nel corpo. Questa distanza tra l’espressione e l’intuizione diventa evidente, se ci rendiamo conto con quale difficoltà si riesce ad avvicinarsi anche solo alla traccia rimasta nella memoria.(2)
Desiderosi di esser utili quanto più possiamo a chi ci ascolta, e non potendo comunicare con la mente, vorremmo parlargli così come comprendiamo: e non riuscendovi, ci angustiamo e siamo disgustati come se faticassimo per nulla.
Ma proprio questa angustia rende il nostro discorso più fiacco e banale di quanto non fosse prima che il motivo del disgusto si manifestasse.
_________________Note
(2) Perché non sia indotto allo scoraggiamento, Agostino mette in pace l'educatore sui limiti che fanno parte naturalmente della nostra capacità di capire e di esprimerci.
Quando vogliamo esprimere un'idea, non possiamo evitare alcuni passaggi.
- C'è anzitutto l'intuizione; e anche questa, per quanto splendida, non è mai perfetta come la realtà del mistero da cui parte, anche perché dura un solo istante e non si radica facilmente.
 - C'è poi l'impronta rimasta nella memoria dopo il lampo della intuizione: e questa impronta è già limitata quanto lo è sempre una immagine, ed è inoltre soggetta ai limiti della memoria di ciascuno.
 - Infine c'è il discorso che tentiamo di formulare per esprimere agli altri quanto abbiamo compreso noi.
 
La velocità della intuizione, la labilità della memoria, e la inadeguatezza dell'espressione, rendono impossibile a chiunque un discorso perfetto. Agostino ricorderà più avanti che Gesù ha scelto proprio questa situazione di limite per esprimere il mistero di Dio (c. X, n.15)
