Hard Power
Il libro di Roberto Arditti è un libro interessante con una tesi univoca: il potere non si contratta, si prende e si difende con le armi. Anzi, di più, la Guerra, che si fa con le armi, è per il giornalista il vero motore della Storia, quella con la esse maiuscola. Hard Power. Perchè la Guerra cambia la storia è infatti il titolo del libro che ha pubblicato con la casa editrice conservatrice Giubilei Regnani.
L’ex direttore di Formiche, editorialista di Il Tempo di Roma, ha diviso in capitoli geografici la sua dissertazione bellico-politica e la incomincia con la Russia. Della Russia Sovietica Arditti ricorda il passato e il deterrente nucleare e poi descrive I tremendi attacchi missilistici verso l’Ucraina, l’uso di droni, la potenza della macchina bellica industriale, fino l’uso della carne da macello di giovani russi non moscoviti, galeotti e senza quattrini, nelle trincee del Donbass a morire e ammazzare i forse più istruiti e sicuramente filoeuropei ucraini. Poi racconta la Cina e Taiwan un po’ alla maniera di Lucio Caracciolo, di cui è certo debitore di parte dell’analisi, quando racconta i choke points del mar della Cina e rammenta la superiorità demografica, industriale e quindi bellica cinese che prima o poi vorrà mangiarsi Taiwan prendendo di sorpresa l’America che, sola, forse sta impedendo l’esito catastrofico per il porcospino taiwanese. E poi ci parla del Congo, del Sudan, del Rwanda, cioè delle guerre per procura fatte per impossessarsi delle preziose terre rare che rendono possibili i nostri sogni digitali, ma sempre in punta di fucile o di machete. E poi giù con Libia, Cipro, Israele.
Le cose che dice sono vere, ma non convincono completamente. O almeno non paiono sufficienti a smontare la complessa Teoria di Joseph Nye sul soft power cui Arditti si richiama per differenza e contrapposizione. E non convince per un motivo centrale, perché non considera a sufficienza l’apporto che i commerci, la diplomazia, il digitale, le reti comunicative, l’innovazione tecnologica e la cybersecurity danno sia alla pace che ai conflitti, pure quelli armati, ormai risultandone inseparabili. Nell’epoca delle reti globali, infatti, il potere non si misura più soltanto con la forza militare ma sul terreno invisibile dell’informazione, dove l’intelligence, i media, la conoscenza dell’avversario e la manipolazione dei dati determinano l’equilibrio tra le potenze. Frutto dolceamaro di un cambiamento radicale che ridefinisce la natura stessa del potere che è soft, hard, harsh, ma anche wet & cyber.
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