Sparire nell’epoca degli algoritmi: il nuovo Mattia Pascal tra dati, identità e sistemi che ci leggono

È uscito Il fu Mattia Pascal — L’identità ai tempi degli algoritmi, il romanzo di Simone D’Agostino, che rilegge il classico di Pirandello alla luce dei meccanismi digitali contemporanei.

Non si tratta di una riscrittura letteraria in senso tradizionale, ma di una trasposizione concettuale: cosa accadrebbe oggi a un uomo che tentasse davvero di “sparire”? Non più dai luoghi fisici, ma dai sistemi che raccolgono dati, tracciano comportamenti e ricostruiscono identità

Nel romanzo, Mattia Pascal prova a cancellarsi dai dati, a diventare nessuno in un mondo in cui l’identità non è più soltanto ciò che dichiariamo, ma ciò che gli algoritmi inferiscono a partire dalle nostre tracce digitali. Una fuga che si scontra con una realtà nuova: oggi non si fugge dai luoghi, ma dalle infrastrutture che leggono, archiviano e correlano ogni gesto.

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Edizione cartacea (copertina flessibile) amazon.it/dp/B0G4N65FXD

Il libro si muove tra thriller psicologico, riflessione tecnologica e dimensione filosofica, mantenendo però un centro profondamente umano. È anche, in modo intimo e laterale, una storia d’amore: forse la più difficile da raccontare quando l’identità non appartiene più solo alle persone, ma ai sistemi che le osservano.

Da qui prende avvio una riflessione più ampia su cosa significhi davvero “sparire” nell’epoca degli algoritmi.

Sparire nell’epoca degli algoritmi: quando l’identità continua anche senza di noi


Che cosa significa davvero “sparire” nell’epoca dei dati?

Non è una domanda romantica, né nostalgica.
Parla invece di una questione profondamente tecnica, culturale e umana, che riguarda il modo in cui oggi costruiamo e perdiamo identità.
Nell’epoca dei dati, anche la sparizione assume un significato diverso.

Nel mondo analogico, sparire era un gesto fisico: cambiare città, interrompere relazioni, lasciare luoghi. Le tracce erano fragili perché affidate alla memoria delle persone, ai documenti cartacei, al passaparola. Con il tempo, potevano consumarsi

Dal mondo analogico alle reti invisibili


Oggi il concetto stesso di sparizione è cambiato.

Non scompariamo più solo dai luoghi, ma soprattutto dalle reti invisibili che registrano, correlano e ricostruiscono ciò che facciamo. Anche quando non parliamo, quando non pubblichiamo, quando cerchiamo di sottrarci.

Ed è qui che nasce il cuore de Il fu Mattia Pascal — L’identità ai tempi degli algoritmi.

Mattia Pascal oggi: perché la sparizione non funzionerebbe più


Il Mattia Pascal di Pirandello poteva approfittare di un equivoco per diventare “fu”. Poteva dichiararsi morto e ricominciare, perché l’identità era ancora qualcosa di localizzato, fragile, negoziabile.

Il Mattia Pascal contemporaneo vive invece in un mondo in cui l’identità non coincide più con ciò che dichiariamo, ma con ciò che resta di noi nei sistemi. Algoritmi, profili e memorie digitali non dimenticano come dimenticano le persone.

Il protagonista del romanzo tenta di cancellare ogni traccia, di diventare nessuno. Ma scopre che, nel mondo digitale, la cancellazione è solo apparente. L’ombra lasciata online continua a seguirlo, a definirlo, a renderlo leggibile.

Dalla sorveglianza all’inferenza automatica


La questione non è l’osservazione diretta, ma il funzionamento stesso dei sistemi: ricostruiscono. Mettono insieme frammenti, inferiscono comportamenti, attribuiscono coerenze. Anche l’assenza diventa informazione.

Quando i sistemi iniziano a ricordare


Questo modello non nasce in modo spontaneo.

Sono soprattutto le grandi compagnie tecnologiche a operare questa registrazione sistematica.

Motori di ricerca, social network, piattaforme di advertising, servizi cloud e sistemi di intermediazione basano il proprio valore sulla capacità di registrare, conservare e correlare enormi quantità di dati comportamentali.

La selezione non avviene più al momento della raccolta: si registra tutto, rimandando la valutazione a un secondo tempo, quando i dati potranno essere analizzati, incrociati e utilizzati. Non è il singolo dato a essere decisivo, ma la sua persistenza e la possibilità di combinarlo con altri.

Nel libro, questo passaggio è affidato a un intermezzo dedicato al concetto di archivio e di memoria.

Ogni società ha deciso cosa meritasse di essere conservato. Le tavolette d’argilla tenevano i conti dei raccolti; gli archivi medievali conservavano i contratti e i battesimi; gli archivi di Stato custodivano leggi e guerre. Oggi l’archivio non sceglie più: raccoglie tutto.

Non c’è differenza tra un capolavoro e un gesto minore. La foto di un tramonto e lo scontrino della spesa hanno lo stesso rango: entrambi vengono catalogati, copiati, sincronizzati.
Questo livellamento ha un effetto devastante: rende tutto potenzialmente significativo, e quindi niente più davvero importante.
L’archivio digitale è onnivoro. Non discrimina tra valore e rumore, tra memoria e scarto. Ed è proprio questa sua natura che cambia il nostro modo di vivere: non sappiamo più distinguere ciò che conta da ciò che è pura eccedenza.

Ci troviamo a nuotare in un oceano di tracce, incapaci di stabilire una gerarchia.

Il gesto minore – aprire e chiudere un’app, scorrere tre secondi in più su un feed, spostare il cursore – diventa informazione pari a un testamento o a una lettera d’addio. L’archivio li considera uguali. È la democrazia radicale del dato: tutto vale, tutto resta.

Il problema è che la nostra mente non è fatta per questa democrazia. Noi abbiamo bisogno di selezione, di oblio, di rilevanza. L’archivio, invece, accumula senza pietà. E nella massa crescente di gesti minori, rischiamo di perdere di vista la nostra storia”.

Fiducia, reputazione e coerenza statistica


Nei sistemi digitali contemporanei, la fiducia non nasce dalla conoscenza, ma dalla coerenza statistica.

Essere affidabili non significa essere veri, ma risultare sufficientemente prevedibili.

È su questa logica che si costruiscono punteggi, reputazioni e decisioni automatiche

Nel romanzo, questo meccanismo viene raccontato attraverso un intermezzo narrativo che descrive come la reputazione digitale venga costruita dai sistemi.

“Un tempo la reputazione era voce. Gente che parlava di te.
Ora è codice.
Non sei affidabile perché qualcuno ti conosce.
Sei affidabile perché una macchina ti ha incrociato abbastanza volte.
Hai un punteggio, anche se non lo sai.
C’è chi calcola quanto sei coerente tra una foto e l’altra.
Chi pesa la qualità dei tuoi amici.
Chi valuta da quanto tempo usi la stessa email.
Chi misura la tua stabilità in base alla posizione GPS.
Tutti questi indizi formano una metrica invisibile, ma reale.
Essere affidabili non significa essere veri.
Significa essere statisticamente credibili.
Quando provi a reinventarti, scopri che raccontarti non basta.
Devi essere riconoscibile nei pattern, un volto tra mille.
Chi sparisce perde il passato, ma anche la possibilità di costruire una reputazione futura.
Non puoi costruirla senza dati.
Per essere qualcuno oggi, serve una somma di indizi.
Serve coerenza. Frequenza. Persistenza.
Serve un algoritmo che dica “sì”.
Senza quello, sei opaco.
Senza quello, sei Mattia Pascal”.

L’identità come effetto collaterale


Ogni interazione digitale lascia una firma.

Non una firma evidente, ma una calligrafia: orari ricorrenti, scelte ripetute, abitudini che sembrano irrilevanti prese singolarmente, ma decisive se aggregate.

Persino i tool più anonimi – Tor, VPN, DNS resolver indipendenti – rivelano che stai cercando di non farti vedere. E questa è già un’informazione.

È il principio alla base dell’OSINT moderno: non cercare il dato perfetto, ma combinare quelli imperfetti.

Il libro non racconta una fuga contro la tecnologia, ma una fuga dentro la tecnologia. Una scomparsa che si scontra con un paradosso: più si tenta di sparire, più si diventa leggibili.

Ed è qui che emerge la dimensione più umana del racconto.

Anche nella fuga più silenziosa resta un bisogno primordiale: essere trovati, riconosciuti, testimoniati. Non come sorveglianza, ma come forma di esistenza.

Il romanzo lavora sulla tensione tra libertà e controllo, tra desiderio di sottrazione e necessità di essere visti. Racconta una scomparsa tipicamente contemporanea, in cui non basta sparire dal mondo per smettere di esistere nei dati.

Non è un manuale su come cancellarsi e nemmeno una denuncia tecnologica.

Si tratta invece di una riflessione narrativa su cosa significhi essere qualcuno quando l’identità continua anche oltre il corpo.

In questo senso, Il fu Mattia Pascal — L’identità ai tempi degli algoritmi non parla solo di tecnologia. Parla anche di una domanda antica, rimasta intatta nell’era degli algoritmi:

se nessuno ci trova più, esistiamo ancora?

Per chi desidera approfondire questi temi in forma narrativa, Il fu Mattia Pascal — L’identità ai tempi degli algoritmi è disponibile su Amazon.

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