Da Editoriale Domani.

Askatasuna: «La nostra storia non è ancora finita»

La giornata di protesta contro lo sgombero del centro, partita in maniera pacifica, è finita in scontri con le forze dell’ordine. Il 31 gennaio annunciata una manifestazione nazionale

L’appuntamento è davanti a Palazzo Nuovo sede delle facoltà umanistiche, alle 14:30 del pomeriggio.

Si raggruppano le persone, un paio di migliaia che aumentano con il passare dei minuti. Passa un’ora, prima che il corteo inizi a muoversi.

C’è Nicoletta Dosio, la pasionaria dai capelli rossi, le sue sono parole lucide, studiate, sembrano scritte, ma va a braccio: un presente sempre più nero, con la repressione del governo di Meloni. Ci sono le “famiglie con Askatasuna” e i bambini con un lenzuolo con le impronte colorate delle mani: «L’Aska è un posto di tutti».

Inizia così la passeggiata per le vie del quartiere, un percorso predefinito perché ogni sbocco, a destra e sinistra, è bloccato dalle camionette e da schiere di agenti in divisa antisommossa: a confronto la militarizzazione della mattina dello sgombero è poca cosa.

Intanto il corteo si ingrossa, sono poco più di cinquemila le persone. Tutto cambia quando si svolta in corso Regina Margherita, la strada dell’Aska. L’ordine è bambini e famiglie dietro, davanti gli attivisti che avanzano con lo striscione.

Le forze di polizia schierate riescono a rubare in pochi minuti il lenzuolo. Ne tirano fuori un altro. La polizia li fa indietreggiare di decine di metri a suon di lacrimogeni, decine quelli lanciati, anche nelle vie limitrofe è impossibile respirare. Poi i cassonetti in mezzo alla strada, due dati alle fiamme. Si conteranno nove poliziotti tra i feriti; una decina i manifestanti contusi.

Il corteo si ricompatta e decide di proseguire per l’unica via aperta. Canti partigiani accompagnano la folla fino al ponte di piazza Vittorio, la porta del centro torinese, la manifestazione è conclusa, ma la lotta no e si rilancia al 31 gennaio per una grande manifestazione nazionale: «È il momento di costruire una vita decente, costruiamo questa alternativa a questo sistema di morte, noi siamo la vita contro la morte. Vogliamo vivere, non sopravvivere».

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