Da The Post Internazionale.

“Le Big Tech sono una minaccia per la democrazia”: intervista al prof. Juan De Martin

“Negli ultimi 30 anni i governanti europei hanno rinunciato a controllare le reti chiave per la gestione delle informazioni. Le hanno lasciate in mano ai giganti digitali Usa. Così l’Europa ha perso la sua indipendenza”

Dal 23 al 25 gennaio il Palazzo Ducale di Genova ospiterà “Democrazia alla prova”, una tre giorni di dibattiti organizzata dal Forum Disuguaglianze e Diversità e dal Palazzo Ducale e curata in particolare dall’ex ministro Fabrizio Barca (co-coordinatore del Forum) e dall’intellettuale genovese Luca Borzani.

Al centro dell’evento c’è un interrogativo: in un’epoca segnata da trasformazione digitale, concentrazione in poche mani di ricchezza e potere e dinamiche autoritarie, come può rigenerarsi la democrazia?

Tra i relatori c’è Juan Carlos De Martin, professore di ingegneria informatica al Politecnico di Torino.

«Anche solo limitandoci agli smartphone, osserviamo da una parte che ormai più di metà dell’umanità lo usa varie ore al giorno, e dall’altra che per la prima volta nella storia siamo di fatto obbligati a possedere una specifica macchina, altrimenti diventa molto difficile vivere».

«Negli Stati Uniti e in Europa questo processo è stato portato avanti in maniera fortemente centralizzata e verticale. Oggi una manciata di aziende statunitensi tiene le redini delle tecnologie informatiche, al punto che si parla ormai apertamente di colonialismo digitale degli Usa sull’Europa: basti pensare al duopolio di Apple e Google sui sistemi operativi degli smartphone, o ai social media americani».

«Per qualunque entità, pubblica o privata, ci sono tre infrastrutture sulle quali è essenziale mantenere il controllo: le infrastrutture di trasmissione delle informazioni, quelle di archiviazione delle informazioni e quelle di elaborazione delle informazioni. Se non si ha il pieno controllo, anche fisico, su queste infrastrutture, non si può essere indipendenti. Eppure, negli ultimi trent’anni, i governanti europei hanno incredibilmente rinunciato a controllarle, diventando dipendenti da grandi imprese statunitensi: se improvvisamente una Big Tech decidesse di spegnere un “interruttore”, potrebbero venir meno pezzi importantissimi per il funzionamento dei nostri Paesi, come il servizio di posta elettronica».

«Con il Digital Service Act e il Digital Market Act l’UE ha provato ad arginare il potere della Silicon Valley, ma queste norme sono state criticate sia dagli Stati Uniti, che le hanno interpretate come un’indebita ingerenza, sia internamente all’Europa, dove alcuni aspetti, soprattutto del Digital Service Act, fanno temere limitazioni alla libertà di espressione».

«A partire da una cinquantina d’anni fa, Stati Uniti e Europa hanno trovato economicamente conveniente, anche se strategicamente miope, delegare alla Cina l’estrazione e la lavorazione delle materie prime, attività complesse, inquinanti e costose. Alcuni investitori in Occidente si sono arricchiti moltissimo sfruttando i lavoratori a basso costo cinesi, ma nel frattempo Pechino, in maniera lungimirante, ha portato avanti una strategia di acquisizione di know-how, di crescita e di sviluppo economico di cui oggi raccoglie i risultati».

«[In Europa] possiamo e dobbiamo continuare a produrre cultura, pensiero, arte, ricerca, valorizzando le diversità di lingua e di cultura che abbiamo. Saremmo anche perfettamente in grado di continuare a produrre alta tecnologia per fini pacifici, se solo si investisse adeguatamente in ricerca e sviluppo, oltre che in istruzione. Ciò però richiederebbe di interrompere una dinamica trentennale di austerità, deflazione salariale e scarsi investimenti, sia pubblici sia privati».

L'articolo completo si può leggere qui: https://www.tpi.it/politica/big-tech-minaccia-per-democrazia-intervista-prof-juan-de-martin-202512191212216/.

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